La costruzione dei saperi

Nei mesi di ottobre e novembre del 2019, ho avuto il privilegio di partecipare ad un corso di formazione sul Reggio Emilia approach “Dalla strutturazione di un atelier alla documentazione delle attività formative” condotto dalle formatrici Elena Bruna GiacopiniSara Depoi.

Qui alcune personali riflessioni.  

Il Reggio Emilia approach non è un metodo ma è riduttivo chiamarlo approccio.

E’ un progetto culturale per l’infanzia, in cui famiglia, comunità, nido/scuola, amministrazione (istituzioni), ciascuna nella propria specificità e in sinergia, apporta il proprio contributo per far emergere e condividere il prezioso sapere dei bambini e delle bambine, riconoscendolo e valorizzandolo base della formazione dell’adulto e adulta del futuro  

Dentro la scuola, non è un sapere che rimane in sezione, spesso in un istante colto dal  docente,ma un sapere che oltrepassa questo limite e diventa riconoscibile  e parte integrante della comunità tutta. 

Mi viene in mente un concetto di inclusione particolare dove, non sono le specifiche realtà sopradescritte che includono, ma sono la conoscenza e il rispetto della cultura dell’infanzia che permettono a tutte le realtà di sentirsi incluse nella comunità.

In particolare noi a scuola dovremmo apprendere dai bambini e dalle bambine, seguendo un percorso di osservazione della loro ricerca del sapere.

Lasciandoli argomentare (anche se questo richiede tempo) senza stimolarli a darci le risposte che vogliamo noi.

Lasciando loro il loro tempo (non il nostro), documentando le loro azioni  e il loro detto  che rappresentano il processo della costruzione del loro apprendimento.

Dando loro stimoli non soluzioni. Dando loro tempo per trovare strategie

Le mie frasi e parole chiave del Reggio Emilia approach

“I cento linguaggi di LORIS MALAGUZZI”

“Quale cultura esprimono i bambini e le bambine?”

“Come i bambini e le bambine costruiscono il loro sapere?”

“Come noi impariamo da loro?”

“I processi conoscitivi che essi compiono per dare un senso al mondo e a sé stessi sono invisibili; sono tracce che cambiano continuamente”

“Quale documentazione per rendere visibili le esperienze dei bambini e delle bambine a sé stessi, alla città, perché esse diventino 

Patrimonio della Cultura della comunità?”

“E noi, cosa vogliamo da loro, come chiediamo loro di svolgere un compito, di arrivare dove vorremmo che arrivassero, quali tempi gli concediamo, e quali spazi?”

“Quali parole usiamo nelle nostre domande per sentirci dare le risposte che chiediamo?”

“Tutto il giorno è didattica”

“Cura del contesto, partecipazione attiva dei bambini e delle bambine, coinvolgimento delle famiglie nel rispetto dei ruoli, tempi (quelli loro), argomentare, discutere e condividere, diversificare la consegna, diversificare il materiale……”

“Cura del processo non del prodotto

Parole e frasi  da scrivere in stampato maiuscolo e appendere in ogni aula, da inserire in ogni programmazione perché il dubbio  diventi criterio di lavoro. 

E così come non mettersi in gioco di fronte a tanta esperienza, e come non cogliere l’occasione per confrontarsi e fare un percorso guidate da formatrici di questo spessore culturale?

Il corso si è svolto in due parti: nella prima, dopo aver ascoltato e sperimentato in gruppo ho scelto di mettermi alla prova in sezione con la mia collega Stefania e i miei alunni e alunne di 4 anni, nell’attività “La pista bollini”. Senza il lavoro svolto nel tempo con Stefania non sarei potuta partire da certi specifici requisiti .

Nella seconda parte si è parlato dell’importanza della documentazione; divise in gruppi di lavoro, avevamo a disposizione numerose fotografie che ritraevano un gruppo di bambini e bambine intenti a svolgere un compito complesso. Il nostro compito era: scegliere tra le fotografie quelle che ritenessimo idonee a comunicare il nostro messaggio (scelto in gruppo), creare una presentazione e offrirla agli altri gruppi rilevando se l’obiettivo fosse stato raggiunto.

Presentiamo la documentazione del lavoro svolto in sezione: “La pista bollini”

Esperienza e testo di Carla Moretti

Da quel di Caniga Infanzia

Articolo a cura di Stefania Nigra

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