La “quarantena” di Anna Frank

Cari bambini e care bambine,

c’è un’immagine che gira in questi giorni tra Facebook e Whatsapp, non so se l’abbiate vista anche voi, eccola:

Molti di voi avranno riconosciuto questa bambina sorridente che è rimasta chiusa in casa per tantissimo tempo con la sua famiglia per non essere scoperta e deportata in un campo di concentramento. Lo so, il paragone è un po’ forte, ma ci serve a capire e sopportare meglio tutto quello che in questo periodo non possiamo fare.
Anche la piccola Anna doveva salvarsi la vita da un nemico: un nemico armato e pronta a scovarla in ogni angolo della sua città, senza che lei potesse far altro che nascondersi.
Noi siamo nelle nostre case, le nostre tiepide case (come diceva una poesia meravigliosa che vi farò leggere in un altro articolo) e l’unica cosa che dobbiamo fare è non uscire da qui per motivi ce non siano molto importanti. Niente di più. La vita continua anche dentro casa e anzi, questo momento ci dovrebbe aiutare a capire quanto siamo fortunati ad averne una.

Vi lascio qua sotto un pensiero che ho scritto dopo aver visitato, ad Amsterdam, la casa di Anna Frank.

Si entra quasi in punta di piedi in quella che fu l’ultima casa che nascose la breve esistenza di Anna Frank. Si cerca di far scricchiolare il meno possibile il pavimento in legno su cui, chissà quante volte, la piccola Anna strisciò in ginocchio per non far sentire i suoi passi alle orecchie indiscrete che andavano spietatamente a caccia di ebrei. Ci si aggira tra le stanze dell’appartamento segreto che ospitò la tredicenne, suo padre Otto, sua madre Edith, sua sorella Margot e altri rifugiati (i Van Pels e Fritz Pfeffer), con un rispetto degno di un edificio che ha conservato storie di speranza e sofferenza e che, suo malgrado, è divenuto meta di pellegrinaggio.

In realtà, quella che viene definita “La casa” di Anna Frank, era originariamente la ditta del capofamiglia, che si occupava del commercio di spezie. Quello che divenne il rifugio della famiglia Frank e dei loro collaboratori – anche essi ebrei – era quindi un luogo di lavoro insospettabile (almeno per due anni) adibito a nascondiglio. A separare gli uffici di Otto Frank e i suoi colleghi dal rifugio vero e proprio, c’è la ormai celebre libreria attraverso la quale gli odierni visitatori – come già facevano i Frank – possono passare da un’ala all’altra dell’edificio.
In una stanza intermediaria, è possibile inoltre usufruire di spiegazioni audo-video sul dramma delle deportazioni.

Fa impressione oltrepassare la piccola porta ricavata dalla libreria e pensare che da lì in poi, ad un certo punto della Storia, sia iniziata una vita non-vita fatta di silenzi, solitudini e paure. Tutti questi sentimenti furono trascritti da Anna su un quadernino ricevuto in dono per il suo tredicesimo compleanno e compilato costantemente, con scrittura infantile e profondità di spirito di chi diventa adulto prima del previsto. E senza aver letto quel diario, forse nessuno di noi visitatori avrebbe respirato ogni particella di vita rimasta impigliata nella piccola stanza che ospitava Anna e i suoi tredici anni, con le pareti tappezzate dalle fotografie delle sue attrici preferite, come accade alle ragazzine di ogni tempo e luogo.

Due anni dopo aver occupato il rifugio, gli abitati della casa vengono scoperti e deportati dalla Gestapo in vari campi di concentramento: solo il capofamiglia Otto Frank riesce a salvarsi. Con lui, grazie alla cura di un’impiegata, sopravvive anche il diario di Anna, rimasto nel rifugio e passato indifferente attraverso i controlli dei nazisti.
Papà Otto decide di dare alle stampe “La casa sul retro”, titolo che aveva scelto la piccola Anna; da lì, è arrivato fino a noi un libro che dovrebbe essere letto e riletto continuamente, ad ogni età, non solo per non dimenticare, ma per imparare come nella disperazione una ragazzina di tredici anni è riuscita comunque a sopravvivere, anche solo per pochi anni, all’orrore dell’alienazione.

Vi abbraccio forte e spero che se non l’avete ancora fatto, possiate leggere presto il diario di Anna Frank.

maestra Silvia

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